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Riflessioni sulle cazzate che faccio
Messaggioda BENJI PRICE » 17/12/2010 - 16:00
TAC TAC TAC. Le dita pigiano svogliatamente la tastiera del PC. Gli occhi
seguono indolentemente le immagini sullo schermo. Le orecchie si concentrano
nel sentire i suoni gracchianti provenire dai minuscoli altoparlanti.
Fuori la temperatura è sotto zero. Nel letto il piuomone sgualcito tenta di
emanare un pallido calore.
Ma ci fossero anche i 45°C del deserto sahariano, Lei sentirebbe ugulamente il
freddo che prova ora.
Freddo nel cuore, freddo nell'anima. Prima ha rapidamente sorvolato il salotto
e la cucina, volando, saltando i tre scalini che separano la zona giorno da
quella notte. Troppi ricordi.Troppo freschi. Il cellulare è muto, o meglio, non
parla di Lui.
Le manca, lo vorrebbe chiamare, lo vorrebbe vedere. Come stamattina. Come fino
a poco, pochissimo fa.
Vorrebbe accoccolarsi accanto a lui, poggiargli la testa sul petto, sentire la
sua voce, sentire le sue parole, quelle parole.
Sciogliersi nelle sue labbra, rivedere quello sguardo, rivedere quegli occhi
che la guardavano come fosse l'unica donna sulla faccia della terra, come fosse
unica.
"Ma fai così con tutte?" Gli aveva chiesto più volte, quasi a volere la
conferma che quello che Lei vedeva era una tattica collaudata.
Una delle tante mosse per scacciare la felicità . Una delle tante mosse per
infliggersi dolore. Come l'impiccato che sul patibolo gira e rigira il collo,
ben sapendo che in quel modo ottiene solo che il cappio si stringa.
Il cappio era ormai ben stretto, la botola si era già aperta e Lei penzolava
dalla forca. Non poteva essere più salvata.Non lo voleva Lei per prima.
Ed intimamente ne godeva.
L'atto che aveva compiuto quella notte gli antichi l'avrebbero chiamato
autodafè.
Lei aveva pubblicamente bruciato ogni possibilità di essere felice.
Consapevolemente.
"E' la cosa giusta" ripeteva a sè stessa come un mantra, come ad esorcizzare
quella cosa
Ma in cuor suo ben sapeva che se fosse stata la cosa giusta non starebbe così
male ora.
Non avrebbe quella voglia di chiamarlo, di sentirlo.
Nei suoi occhi nocciola aveva visto lo sguardo dell'amore. Ed era stato come
quando la lepre fissa la canna del fucile del cacciatore.Il suo primo pensiero
era stato quello di fuggire, via lontano. L'istinto la doveva preservare.
Ma da cosa?
Dalla paura di soffrire di nuovo? Dalla paura di iniziare qualcosa di
importante? Dalla paura di dover abbandonare le sue fiacche abitudini?
Dalla paura di amare.
Solo una storia l'aveva fatta morire. Impazzire, sprofondare. Vergare pagine e
pagine di parole di autocommiserazione e di dolore.
Esorcizzava il dolore con lo scrivere.E Lui le aveva espresso il suo amore con
parole scritte.
Ora quelle parole urlavano da dentro un armadio.
Diverso. Era stato diverso da tutti in quell'approccio.
Strano. D'altri tempi. Forse.
Delicato. Stravagante.
Speciale.
Certamente non come i tipi con i quali si circondava o che la circondavano.
Una donna sola ormai prossima all'età che Lei aveva è solo una preda per quei
tipi. Preda sessuale e nulla più.
E con i suoi atteggiamenti ne era la classica dimostrazione.
Cercava la botta per l'ego, voleva dimostare, dimostrarsi, di piacere, ancora
una volta per esorcizzare l'abbandono subito.
Ma in quel modo sapeva benissimo che non avrebbe trovato l'amore che cercava.
E forse non voleva. Le bastava il ricordo di quell'amore durato tanto tempo e
svanito troppo in fretta, troppo brutalmente e dentro di sè avrebbe voluto
farselo durare per tutta la vita.
Ma poi era arrivato Lui, ed aveva sconvolto tutto.
Il castello di carte costruito tanto faticosamente e che Lei credeva
inespugnabile era stato annientato dalla forza di Lui.
Dai suoi sentimenti. Dai suoi modi. Dalla sue parole. Dai suoi gesti.
Era capitolata nonostante Lei non volesse.
Ora cercava conforto nelle parole di amiche a cui, comunque non avrebbe
raccontato tutto, a cui avrebbe omesso troppi particolari.
Per riservatezza si giustificava con sè stessa.
Per non sentirsi giudicata era invece la verità che le urlava nel petto.
Perchè era lapalissiano che qualunque sua amica dotata di buon senso le
avrebbe sbattuto in faccia l'errore che aveva fatto.
Gettare via tutto come aveva fatto Lei era una chiaro sintomo della sua
volontà di fare la vittima.
L'esempio lampante di un masochismo prossimo alla cronicità .
Roba da psicoanalisi.
E Lei non voleva sentirselo dire e perciò mistificava la realtà con gli
altri.
Ma soprattutto con sè stessa.
Troppo forte come verità .
Era una verità che la feriva perchè le apriva gli occhi su come veramente
era.
Meglio cullarsi nell'autocommiserazione.Meglio dirsi che stava vivendo una
vita sfortunata.Meglio dirsi tante piccole bugie che una grande verità .
Quando diceva a Lui di non avere un cuore, lo diceva non per metterlo in
guardia , per non illuderlo, ma lo diceva prima di tutto a sè stessa, per
allontanare anche la più flebile speranza di innamorarsi di nuovo.
"Vittima e carnefice di te" le aveva detto.
Vittima e carnefice di me stessa.E queste parole le rimbombavano in testa.
Ora.
Ma sarebbero durate per poco.
Sarebberero durate per tutto il tempo che Lei voleva farlo durare.
Ed un nuovo fine settimana era alle porte.
Lui era sdraiato su di un divano. La testa dolcemente reclinata sulle gambe di
G .In una mano una tazza di tisana fumante. Nell'altra una Wiston rossa,
accesa. Gli occhi chiusi.Nella stanza suonavano le note di Dreams. G. gli
accarezzava la testa,massaggiandogli le tempie, come per scacciare brutti
pensieri, brutti ricordi.
"Ti meriti una così" diceva G. " Mi merito una così" rispose Lui, continuando
a tenere gli occhi chiusi.
"Non certo quella" ribattè G." complessata, immatura, vittima di se stessa.ma
cosa ti passava per la testa quando stavi con lei"
"Noia" disse Lui, alzandosi quasi per svegliarsi da quel torpore."Noia"
ridisse girandosi di lato e appoggiando di nuovo la testa nell'incavo delle
gambe di G.
seguono indolentemente le immagini sullo schermo. Le orecchie si concentrano
nel sentire i suoni gracchianti provenire dai minuscoli altoparlanti.
Fuori la temperatura è sotto zero. Nel letto il piuomone sgualcito tenta di
emanare un pallido calore.
Ma ci fossero anche i 45°C del deserto sahariano, Lei sentirebbe ugulamente il
freddo che prova ora.
Freddo nel cuore, freddo nell'anima. Prima ha rapidamente sorvolato il salotto
e la cucina, volando, saltando i tre scalini che separano la zona giorno da
quella notte. Troppi ricordi.Troppo freschi. Il cellulare è muto, o meglio, non
parla di Lui.
Le manca, lo vorrebbe chiamare, lo vorrebbe vedere. Come stamattina. Come fino
a poco, pochissimo fa.
Vorrebbe accoccolarsi accanto a lui, poggiargli la testa sul petto, sentire la
sua voce, sentire le sue parole, quelle parole.
Sciogliersi nelle sue labbra, rivedere quello sguardo, rivedere quegli occhi
che la guardavano come fosse l'unica donna sulla faccia della terra, come fosse
unica.
"Ma fai così con tutte?" Gli aveva chiesto più volte, quasi a volere la
conferma che quello che Lei vedeva era una tattica collaudata.
Una delle tante mosse per scacciare la felicità . Una delle tante mosse per
infliggersi dolore. Come l'impiccato che sul patibolo gira e rigira il collo,
ben sapendo che in quel modo ottiene solo che il cappio si stringa.
Il cappio era ormai ben stretto, la botola si era già aperta e Lei penzolava
dalla forca. Non poteva essere più salvata.Non lo voleva Lei per prima.
Ed intimamente ne godeva.
L'atto che aveva compiuto quella notte gli antichi l'avrebbero chiamato
autodafè.
Lei aveva pubblicamente bruciato ogni possibilità di essere felice.
Consapevolemente.
"E' la cosa giusta" ripeteva a sè stessa come un mantra, come ad esorcizzare
quella cosa
Ma in cuor suo ben sapeva che se fosse stata la cosa giusta non starebbe così
male ora.
Non avrebbe quella voglia di chiamarlo, di sentirlo.
Nei suoi occhi nocciola aveva visto lo sguardo dell'amore. Ed era stato come
quando la lepre fissa la canna del fucile del cacciatore.Il suo primo pensiero
era stato quello di fuggire, via lontano. L'istinto la doveva preservare.
Ma da cosa?
Dalla paura di soffrire di nuovo? Dalla paura di iniziare qualcosa di
importante? Dalla paura di dover abbandonare le sue fiacche abitudini?
Dalla paura di amare.
Solo una storia l'aveva fatta morire. Impazzire, sprofondare. Vergare pagine e
pagine di parole di autocommiserazione e di dolore.
Esorcizzava il dolore con lo scrivere.E Lui le aveva espresso il suo amore con
parole scritte.
Ora quelle parole urlavano da dentro un armadio.
Diverso. Era stato diverso da tutti in quell'approccio.
Strano. D'altri tempi. Forse.
Delicato. Stravagante.
Speciale.
Certamente non come i tipi con i quali si circondava o che la circondavano.
Una donna sola ormai prossima all'età che Lei aveva è solo una preda per quei
tipi. Preda sessuale e nulla più.
E con i suoi atteggiamenti ne era la classica dimostrazione.
Cercava la botta per l'ego, voleva dimostare, dimostrarsi, di piacere, ancora
una volta per esorcizzare l'abbandono subito.
Ma in quel modo sapeva benissimo che non avrebbe trovato l'amore che cercava.
E forse non voleva. Le bastava il ricordo di quell'amore durato tanto tempo e
svanito troppo in fretta, troppo brutalmente e dentro di sè avrebbe voluto
farselo durare per tutta la vita.
Ma poi era arrivato Lui, ed aveva sconvolto tutto.
Il castello di carte costruito tanto faticosamente e che Lei credeva
inespugnabile era stato annientato dalla forza di Lui.
Dai suoi sentimenti. Dai suoi modi. Dalla sue parole. Dai suoi gesti.
Era capitolata nonostante Lei non volesse.
Ora cercava conforto nelle parole di amiche a cui, comunque non avrebbe
raccontato tutto, a cui avrebbe omesso troppi particolari.
Per riservatezza si giustificava con sè stessa.
Per non sentirsi giudicata era invece la verità che le urlava nel petto.
Perchè era lapalissiano che qualunque sua amica dotata di buon senso le
avrebbe sbattuto in faccia l'errore che aveva fatto.
Gettare via tutto come aveva fatto Lei era una chiaro sintomo della sua
volontà di fare la vittima.
L'esempio lampante di un masochismo prossimo alla cronicità .
Roba da psicoanalisi.
E Lei non voleva sentirselo dire e perciò mistificava la realtà con gli
altri.
Ma soprattutto con sè stessa.
Troppo forte come verità .
Era una verità che la feriva perchè le apriva gli occhi su come veramente
era.
Meglio cullarsi nell'autocommiserazione.Meglio dirsi che stava vivendo una
vita sfortunata.Meglio dirsi tante piccole bugie che una grande verità .
Quando diceva a Lui di non avere un cuore, lo diceva non per metterlo in
guardia , per non illuderlo, ma lo diceva prima di tutto a sè stessa, per
allontanare anche la più flebile speranza di innamorarsi di nuovo.
"Vittima e carnefice di te" le aveva detto.
Vittima e carnefice di me stessa.E queste parole le rimbombavano in testa.
Ora.
Ma sarebbero durate per poco.
Sarebberero durate per tutto il tempo che Lei voleva farlo durare.
Ed un nuovo fine settimana era alle porte.
Lui era sdraiato su di un divano. La testa dolcemente reclinata sulle gambe di
G .In una mano una tazza di tisana fumante. Nell'altra una Wiston rossa,
accesa. Gli occhi chiusi.Nella stanza suonavano le note di Dreams. G. gli
accarezzava la testa,massaggiandogli le tempie, come per scacciare brutti
pensieri, brutti ricordi.
"Ti meriti una così" diceva G. " Mi merito una così" rispose Lui, continuando
a tenere gli occhi chiusi.
"Non certo quella" ribattè G." complessata, immatura, vittima di se stessa.ma
cosa ti passava per la testa quando stavi con lei"
"Noia" disse Lui, alzandosi quasi per svegliarsi da quel torpore."Noia"
ridisse girandosi di lato e appoggiando di nuovo la testa nell'incavo delle
gambe di G.
21/07/2011
Melzer - Fognini 62 63
solofognini ha scritto:Fogna oggi in palla ragazzi...
Melzer - Fognini 62 63
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